giovedì 5 maggio 2016

Sri Chinmoy Running Festival - 24 Ore di Cesano Boscone

Ritornare a correre una "24 ore" per Paolo non è stato un capriccio, ma il desiderio di rivivere le sensazioni e le emozioni già provate un paio di anni prima, a Torino. Questa volta pensava di non trovare l'"effetto sorpresa" della prima volta, cosciente di sapere già a cosa sarebbe andato incontro; e invece le sorprese non sono mancate. L'unica esperienza della quale avremmo fatto volentieri a meno è stata quella dell'incessante brutto tempo: dopo le prime sette ore di sole, sono seguite diciassette lunghe ore ininterrotte di pioggia.
A parte il maltempo, protagonista indesiderato della gara, Paolo era certo di trovare e di ripetere quella "corsa" parallela alla strada, quel viaggio interiore che avrebbe fatto dentro se stesso e che le lunghe distanze permettono di realizzare. Fiducioso che le gambe lo avrebbero portato a vivere, ancora una volta, una sorta di "meditazione" in movimento.

Quando si affrontano le ultramaratone, difficilmente si resta indifferenti. Lasciano una traccia sia in chi le corre, sia in chi le osserva a bordo pista, come me, nel mio ruolo di supporter e di compagna di vita. Sono gare di endurance, nelle quali ci si mette in gioco per testare la propria resistenza fisica, la capacità di sostenere certi sforzi e superare i propri limiti. Si corre con un bagaglio pieno dei propri pensieri, ai quali dedicarsi per tutta la durata del tempo. Un processo di ascolto interiore delle proprie emozioni, per poi "buttare" dalla mente e dal corpo, insieme al sudore ed alla fatica, il superfluo che spesso si accumula nella vita quotidiana. Alla fine del percorso, superata la fase di stanchezza ed euforia, resta la percezione di ciò che è veramente essenziale per se stessi in rapporto con gli altri.

In queste gare gli altri podisti diventano compagni di viaggio, con i quali si divide le lunghe ore di fatica. Molti sono amici che si ritrovano, felici di rivedersi e vogliosi di scambiarsi un caloroso abbraccio. Per gli altri, si ha tutto il tempo di conoscerli lungo il percorso. Tutti si ritrovano al nastro di partenza, proiettati a vivere la propria gara. Durante le 24 ore si alternano, come mossi da un elastico invisibile, ora a correre fianco a fianco, ora a superarsi. Nel susseguirsi della corsa, si raccontano, si regalano pezzi del loro vissuto e, quando è necessario, spendono parole di incoraggiamento se vedono l'altro provato dalla stanchezza.

Visto da fuori, si fa fatica a capire questi "personaggi" con la fissa della corsa. Spesso vengono etichettati come dei "matti", che corrono senza una meta. Anch'io mi sono trovata dall'altra parte, a non comprendere il perché di tanta fatica e tanto sudore lasciato sulla strada senza una plausibile ragione. Solo da quando ho seguito mio marito, entrando nel suo mondo, riesco a percepire ciò che lo spinge a ripetere esperienze così estreme. Lui, nelle lunghe distanze, ha trovato la "scarpa su misura" per le sue esigenze. Quel sudore e quella fatica, apparentemente inutili, gli permettono, incredibilmente, ogni volta di stare meglio, di vivere con più leggerezza la vita, di semplificare i problemi e di sorridere agli eventi che capitano.

Non so se le cose accadono per un destino prestabilito o sono influenzate da come vengono affrontate. Non lo saprò mai con certezza, ma credo - e non sono solo io a crederlo - che pensare in positivo faccia bene. A volte, guardandosi indietro, si scopre che l'essere stati positivi ha finito con l'influenzare la causalità degli eventi; e, tra positivo e negativo, preferisco il primo dei due, per inclinazione caratteriale. E così, anche questa volta, è stato un bene pensare bene.

Ogni nostro viaggio è vissuto come un regalo che ci concediamo. Nel momento in cui si chiude la porta di casa alle spalle, ci sentiamo come bambini proiettati a conoscere il mondo, con tutta la meraviglia con la quale i piccoli si guardano intorno. Anche questa volta, lo spirito col quale ci siamo diretti a Milano ci ha visti con l'immutato entusiasmo di sempre e, ancora una volta, siamo stati premiati con le sorprese che abbiamo trovato lungo il percorso, vissute come veri doni. Viaggiamo metaforicamente con uno zaino vuoto nel quale riempirlo di tutto ciò che di buono troviamo: ed ecco, il nostro zaino, anche stavolta, lo abbiamo riportato pieno, grazie a tutti gli incontri che abbiamo fatto.

La giornata è iniziata bene già sul treno, dove abbiamo incontrato una mamma con i suoi tre figli, due dei quali adolescenti. È stato piacevole fare il viaggio insieme a loro. Vedere ed ascoltare i giovani è un unguento per il cuore, fa rinascere la speranza a volte assopita dalle notizie tristi della cronaca.
All'arrivo in hotel, siamo stati accolti dalla professionalità e dal sorriso della signora Betty. Poi, il ritrovarsi a parlare, a raccontarci, durante la colazione, ci ha portati ad entrare in sintonia, come se fossimo in un ambiente a noi già familiare. Alla partenza, nel momento di lasciare l'albergo, ci siamo salutati con un abbraccio, come si fa con un'amica.

Nel pomeriggio, siamo andati in giro per le vie del centro. Abbiamo incontrato una chiesa. Siamo entrati ed abbiamo trovato la Messa già in corso. Decidiamo di accostarci all'altare per prendere il Corpo di Cristo, come la cosa più naturale e giusta da fare in quel momento. Appena fuori, seguiamo il profumo del pane, che era nell'aria. Senza una ragione precisa, ci siamo trovati a fare conoscenza con la famiglia dei fornai, nel negozio lì vicino. Tutto grazie ad una "fetta di pane con l'uvetta". È stato naturale iniziare a parlare con loro, e scoprire che non sempre è necessario conoscersi da tempo per instaurare un rapporto di affetto e di simpatia. Angelo, uno dei fratelli fornai, il giorno dopo è venuto tre volte ad assistere alla gara e ad abbracciare Paolo durante la corsa.

Il giorno della gara è stato piacevole ricevere una bella accoglienza da parte del gruppo degli organizzatori, "Sri Chinmoy Marathon Team Italia". Pochi minuti prima del via, hanno fatto girare di mano in mano una fiaccola accesa - la stessa che tenne Papa Francesco l'anno scorso - come simbolo di fratellanza, di concordia, a ricordare ai podisti ed ai presenti che anche la corsa può essere un'occasione per vivere la propria spiritualità e condividerla con gli altri.
Nella stessa occasione è stato piacevole ritrovare, in un abbraccio, amici lontani, conosciuti in altre occasioni ed in altri luoghi, informarsi su cosa avessero fatto, domandare quale gara avessero corso di recente, quale volessero fare nonostante gli immancabili acciacchi e dolori diffusi in ogni parte del corpo.

Ed infine ecco arrivati al momento dell'inizio della gara. Anch'essa è stata una piacevole sorpresa - pioggia esclusa, indesiderata compagna di viaggio. Ogni podista è stato sostenuto ed incoraggiato dai presenti, dagli organizzatori e dalle piccole folle di curiosi, di amici e parenti che si sono alternate ad osservare a bordo pista durante l'arco della giornata. Anche nelle ore notturne ogni corridore è stato continuamente rifocillato con bevande calde, zuppe e quant'altro non facesse sentire loro il freddo della notte. Un gruppo facente parte dell'organizzazione ha pensato bene di tener compagnia a tutti i corridori - madidi di acqua e di stanchezza - con canti e strumenti musicali, in barba alla pioggia, creando nonostante le avversità meteorologiche un clima gioviale e allegro.
Alle prime luci del giorno nuovo, nonostante mancassero ancora tutte le ore della mattinata ancora da correre prima della conclusione della gara, ogni partecipante sentiva di aver già superato l'obbiettivo prefissato. Alla fine, nonostante la stanchezza ed i corpi doloranti, in prossimità del traguardo finale, si è trovata una rinnovata forza per non mollare. Un nutrito gruppo di persone, intanto, si era radunato sul posto per assistere alla conclusione di quella gara così strana e particolare, per guardare quei corridori zuppi di acqua e di stanchezza, alcuni dei quali col viso rigato dalla pioggia misto al pianto. Era finita.

Per un tempo sospeso tra premiazioni, foto, abbracci, docce, Paolo per la prima volta nel corso delle 24 ore sentiva i brividi di freddo addosso. Non so perché, mi è venuto spontaneo coprirlo con ciò che mi trovavo tra le mani, e lo abbracciai, coprendolo nel mio abbraccio, con la guancia appoggiata sulla sua testa, come si fa con i bambini per proteggerli dal mondo. Nessuno dei due parlava, le voci che provenivano attutite dall'altra sala hanno fatto da nenia al nostro stato immobile. Solo quando vennero ad offrirci un passaggio in macchina per tornare all'albergo sciolsi Paolo dall'abbraccio, dove aveva trovato calore e ristoro.

Ci siamo risvegliati dopo dodici ore di sonno profondo e rigeneratore. Pensavo di aver vissuto un sogno, ma davanti ai piedi piagati e doloranti di Paolo mi sono resa conto che ero in realtà stata sveglia la notte prima, e che con quei piedi lui aveva corso dentro il suo sogno portando anche me, perché lo capissi e gli stessi vicina.

Era tempo di tornare alla nostra realtà. Sulla via del ritorno avremmo riportato lo zaino ormai colmo di tutte le sorprese, le sensazioni e le emozioni vissute in quelle lunghe ore, insieme a due pagnotte di pane con l'uvetta ("pan tranvai") e una medaglia al collo, sul retro della quale c'era scritto: "L'anima insegna al corpo a non accettare mai nessuna limitazione, Sri Chinmoy".

martedì 6 ottobre 2015

Le mie prime 50

Sono qui, con il mio bagaglio di 37 maratone e 13 ultramaratone.

Ognuna di queste gare è stata per me la vittoria di una scommessa fatta a me stesso il giorno in cui ho deciso di dare una svolta alla mia vita. Una decisione così importante è nata da un episodio, tanto banale quanto serio: non riuscire ad allacciarmi le scarpe!

Non avevo ancora 50 anni, e non avevo più stimoli ad intraprendere qualsiasi attività sportiva, perché la mia mole extralarge non me lo permetteva. Dopo l'episodio delle scarpe, ho maturato una decisione: o mi rassegnavo a vivere un'esistenza "comoda", oppure l'altra alternativa era quella di riprendere la corsa, la mia corsa. Ed è quello che effettivamente feci.

Il mio treno riprese a partire. Da quel giorno mi impegnai, con una sana dieta, a perdere chilogrammi. Dopo essere sceso sotto i 100 kg, ho iniziato a fare le mie prime corse intorno all'isolato. In seguito mi avventurai nel quartiere, fino a trovare il coraggio, con un amico, di arrivare fino alla Città del Vaticano.

Fu al ritorno da quella corsa che, emozionato, capii che potevo farcela. Tutto sarebbe dipeso da me e dalla mia caparbietà. Nei giorni successivi ebbi la consapevolezza che sarei riuscito a poter partecipare ad una maratona nell'arco di un anno, se mi fossi allenato. Le gare da 10 km e da 21 km furono per me la preparazione del debutto nei primi 42 km, realizzati a Verona. Mi diedi un nuovo nome, da utilizzare nei percorsi delle gare: The Golden Lion!

Da ragazzo, come molti della mia generazione, la strada è stata la mia palestra: si giocava a pallone, si andava in bicicletta ad esplorare la città. Dopo i 20 anni iniziai a correre per migliorare la forza e la resistenza fisica. Ma, nelle condizioni in cui mi trovavo alla vigilia dei 50 anni, tutto ciò che avevo fatto negli anni giovanili era soltanto un ricordo sbiadito, al quale pensavo con nostalgia e rammarico.
Quando ripresi a correre, ripensavo spesso ad un sogno che avevo da giovane: quanto sarebbe stato bello poter correre senza fermarsi mai, fino a vedere l'alba, la nascita di un nuovo giorno. Con il mio nuovo stile di vita, il sogno poteva diventare una realtà: si è concretizzato nei giorni in cui feci la 24 Ore a Torino e la 12 Ore a Palermo. Due esperienze che mi permisero appunto, di vedere l'alba nascere e continuare a credere nei sogni.

Dopo queste due ultramaratone, ho capito che le gare a lunga distanza sono quelle che mi "calzano" di più. Non le vivo come competizioni ma come "viaggi interiori", che faccio ogni volta per stare meglio con me stesso. Spesso ne esco migliore perché capisco i miei limiti, e soprattutto mi rendo conto dell'essenzialità della vita. Mi "spoglio" letteralmente di tanti fardelli, per sentirmi più predisposto a vivere con gli altri in maniera semplice e gioiosa.

Mi piacerebbe soffermarmi su un episodio tra tanti accaduto in questi anni di attività, che mi è caro. Dimostra quanto la corsa sia diventata una mia seconda pelle: un giorno, una ragazza del mio quartiere mi fermò per chiedermi come mai correvo e perché, mentre correvo, avevo sempre un'espressione sorridente. Le cominciai a parlare con entusiasmo della mia esperienza. Mi accorsi, durante il racconto, degli occhi lucidi della ragazza. Da lì capii quanto la mia passione poteva contagiare positivamente gli altri.

Dall'inizio della mia "avventura" nel mondo della corsa, ho voluto che mia moglie, quando possibile, venisse insieme a me nelle trasferte. Solo così avrebbe capito a fondo cosa significasse per me correre. Non ci sarebbe stato il bisogno, dato che lei fin dall'inizio mi sostiene in questa mia attività, ma vivere insieme quelle esperienze aveva un grande valore per me. Così, lei mi ha seguito in tante gare in questi anni, legando alla mia passione la sua per la fotografia.
Per questo motivo ho molte foto delle mie corse, e sono convinto che darò loro ancora più valore con il passare del tempo, perché assumeranno nuovi significati.